Poesie e racconti

Giuseppe Sanalitro ha pubblicato due sillogi poetiche, L'equilibrista (Il filo 2006) e Essenziali essenze (Studio Tindari Patti 2010).   È presente su diverse antologie e siti di settore con liriche e racconti. L’Exploit, racconto sulle musiche di Au-delà, è il suo ultimo progetto letterario (2022).

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Racconti

L’exploit

“Questa è la storia di un sogno che si fa realtà e della realtà che si fa sogno” (Incipit)

Dopo avere raccontato con le note dell’album Au-delà l’epopea dell’aviatore Louis Blériot, con L’exploit l’autore sceglie le parole, vera e propria esigenza per portare a compimento la narrazione di un divertimento tessuto in chiave favolistica. L’opera, per sognatori di tutte le età come riporta la dedica delle prime pagine, sebbene calata negli inizi del ‘900, gioca sulla singolarità di essere pensata totalmente al presente, nell’idea di avvicinare il più possibile il lettore ai personaggi narrati.

La costruzione dei piccoli capitoli che formano il volumetto si lega alle musiche, e ne ripercorre i caratteri a cominciare dai titoli.

La storia scorre insieme ai protagonisti, e quando con le musiche lo fa in una visione totale: dai primi aerei che si accartocciano fino al volo straordinario sulla Manica a bordo del Blériot XI, attraverso rocambolesche cadute in picchiata e capitomboli vari. Le avventure di Louis Blériot finiscono per concentrarsi in un racconto entusiasmante e divertente sulla necessità di non arrendersi mai nella realizzazione di un sogno.



Il poeta (da Antologia dei vent'anni di Racconti nella rete - 2021)

 

Avevo dato due colpetti al clacson per avvertire della mia presenza in quel posto dimenticato da Dio. Ero nervoso perché sudato e sudato perché nervoso. La mia speranza di riuscire a raggiungere entro sera Siracusa riposta in una scritta verde spennellata sulla facciata assolata di una casa: Officina Lo Curto.

Quella vecchia bagascia di una macchina avrebbe voluto negarmi di portare Elena al concerto ma, prima che mi abbandonasse, ero riuscito a fregarla deviando dalla statale. Ero in anticipo e mi bastava trovare un meccanico.

Un ometto sui sessanta, riporto gellato e tuta lercia d’ordinanza, mi era venuto incontro. Dopo breve ispezione aveva sentenziato: «Cosa ri nenti è! Reci minuti, un quarto d’ora al massimo e a risubbemu. A la morti sula nun c’è riparu». E mi aveva invitato ad accomodarmi nel retro dove, a un bisogno, avrei potuto chiedere al nipote. L’ometto sapeva il fatto suo ed io avevo fatto bene a lasciare la statale.

Attraversai il garage e una volta nel piccolo cortile trovai ombra, da sedermi e un distributore di caffè. Mi accomodai sulla panca che dava le spalle al muro della casa, ero già meno sudato perché più calmo e più calmo perché meno sudato. Davanti a me, a destra del portone da cui ero arrivato, il giovane aiutante. “Eccolo lì! Non li controlli e… campa cavallo!”, mi dicevo scoprendolo sdraiato e imbambolato invece che a smanettare sul T1 azzurro che gli stava sullo stomaco. Mi feci un caffè.

Mi guardai intorno e tornai a fissare il giovane: una tartaruga che teneva la sola testa fuori dal furgone e sempre con gli occhi inebetiti in alto. Non si curava minimamente di quello che gli capitava intorno, me compreso. “Ma guardalo! Mangiapane a tradimento, il poeta dovevi fare!”, lo sfottevo tra me e me. Chiamai Elena per riferirle del contrattempo, confermare il resto.

Quando chiusi con lei, quello stava ancora come un rincoglionito. “A me quella posizione avrebbe fatto male alla schiena”, e pensai ai miei quarantasette quasi cinquant’anni. Chiamai pure mamma. Elena l’avrebbe sentita e si sarebbe preoccupata. Non rispondeva. Perciò mi toccò chiamare la suocera. Mia mamma l’avrebbe sentita e si sarebbero preoccupate insieme. Quanto ai papà, quelli li chiami quando resti a piedi.

Da un quarto d’ora stavo in quel cortile e non un movimento proveniva dal furgone. “Forse si poteva dormire ad occhi aperti e non lo sapevo?”.

«Capo, pronta è!», aveva infine richiamato dall’altra parte del garage il piccolo e puntuale meccanico.

Stavo per rientrare che mi venne in mente di verificare se l’estasi della testa fosse in verità un’incredibile pennichella estiva. Mi piegai sulle ginocchia con una mano sul paraurti cromato: «Bel furgone, questo Volkswagen è una meraviglia!». Fu allora che la testa sembrò finalmente prendere vita: «Sì, me… meraviglioso!», farfugliò. Ma restava come in estasi a fissare il cielo. Cosa mai vedeva? Alzai lo sguardo dalla sua posizione.

Se ne stava senza mutande al balcone di sopra, protesa sulla ringhiera, a contrastare una tenda bianca come una polena la vela di un’imbarcazione, una ragazza bruna, sciolti i capelli neri e leggeri ad asciugare nella brezza calda del meriggio siciliano, la veste striminzita e vaporosa sulle cosce tornite e appena scostate l’una dall’altra.

Poesie

Passanti (da Essenziali essenze, 2010)

 

Nemmeno loro lo sanno

che da così lontano

l'aria limpida di Naxos ne parla.

Nemmeno li sfiora appena

quel solo profumo a singhiozzi

che non c'è nei loro nasi a spasso

che non ti cercano tra i marciapiedi

e la sabbia degli ombrelloni allegri

come nell'impareggiabile volto

che Taormina offre da quaggiù.

 

Ma ognuno respira la propria aria

di tutti per forza.

 




Tra le tue tende rosse (da Essenziali essenze, 2010)

 

C'è un misterioso respiro che

s'aggira sempre tra le tende.

Talvolta vi ripiega quello

atteso e tiepido della primavera

imbarazzata nelle perdute vesti

dei mandorli dai fiori profumati,

delle volte solo quello doloroso

e più castigato dell'autunno.

Ma altre mattine ancora,

e puoi fidarti,

è la mia bocca accalorata

che soffia lunghi baci audaci,

che s'avventa in medicamenti,

indecenti carezze di sud insalivate.